Franco Pedrina

Carlo Belli

Chi entra nella stanza in cui Franco Pedrina lavora - dipinge e scrive -, si sente dolcemente aggredito da una festosità cromatica vigorosa eppure non abbagliante; sincera ma non smargiassona. E causa di tanta festa non è già la luce di Roma, che pure ha simili aspetti piovendo al di là della Porta Metronia dove il pittore abita; bensì i quadri appesi alle pareti, in modo tanto copioso da non lasciare spazio tra l’uno e l’altro; sicché prima ancora di discernerne i particolari, ti senti investito da una tonalità generale, calda e luminosa, irradiante da rossi profondi, temperati da bruni meno accesi; da verdi smarriti in velature inafferrabili, da gialli ammansiti con impasti sapienti; e sul tutto guizza qualche rapido intervento di viola o di nero.
Questa è la cromatica di Franco Pedrina, il senso armonico della sua pittura; e quanto al contrappunto, c’è da svelare che il nostro artista proviene dall’architettura, e che la “impaginazione” delle forme è, dunque, affar suo. Rimarrebbe da osservare la sua poetica, la quale, nella sua mitigata violenza, nel suo impeto affettuoso, sembra proporre una possibile intesa fra un astrattismo che troppa sazietà ha ingenerato e una “figurabilità” nuovamente intuita. Dal punto di vista critico, il meglio che si possa fare è attendere con fiducia i risultati di codesto procedimento.
Quello che Pedrina ci ha dato fino a ora, offre già garanzie sicure. Egli è un pittore di giocondo respiro, che parla interamente pittura, per dirla alla francese. Perché ha la pittura nelle vene. E, direi, proprio il sentimento di quella pittura veneta che tanto fasto e tanta gloria ha dato alla terra in cui egli è nato.

(Presentazione del catalogo della mostra, La Piccola Galleria, Brescia, giugno 1964).

 

 

Sono trascorsi già alcun anni, da quando, forse per primo ebbi a segnalare Franco Pedrina tra i pittori di domani. A quel tempo, egli abitava lassù, al quartiere lateranense, in una camera e cucina, occupate dai suoi quadri, più che da lui. Entrando là dentro, si era toccati da non so quale gaudio, o visibilio: una pittura grave, eppure luminosa, vi accoglieva con un calore raro, in quei tempi di gelide esercitazioni. Vi sorprendevate avvolti affettuosamente in essa, ne sentivate il confortevole respiro umano.
Da allora, Pedrina ha sempre più arricchito codesto respiro; codesto alito che solo riesce a rendere viva l’opera d’arte. I diritti della fantasia possono essere illimitati per l’artista, a patto che la sua arte sia ancorata alla dimensione in cui viviamo. Per poco che si mediti sulle cose umane, si vede che ciò che dà senso ai nostri discorsi è sempre il poter riferire un dato a una altro; e questo confronto, palese e sottinteso, suscita immagini, echi reminescenze, che costituiscono la stessa dialettica dello spirito, rendendo possibile la comprensione di quanto diciamo, o sentiamo, o vediamo.
La natura, (case, prati, alberi, nuvole, persone, animali), pare ormai una reminescenza remota nell’arte di Franco Pedina; una eco tanto fievole da non poter essere più percepita, così come accade per gli ultrasuoni, presenti in natura, anche se occulti ai nostri sensi. Ma a ben guardare, Questa presenza, è sempre gagliardamente sottointesa nei quadri del nostro pittore, e ce ne fanno fede le forme e i colori, messi tra loro in tale rapporto da permettere allo spettatore di rintracciare con la propria fantasia ciò che la fantasia dell’artista aveva superbamente trasfigurato. Questa è la magia di Pedrina, e insieme la garanzia più alta della sua pittura.
Detto questo, vi si può aggiungere anche la maestria del mestiere, palese con profondità tonali e finezze tecniche che rivelano una maturazione eccezionale in un giovane. Il rispetto che egli dimostra per l’arte, lo porta a un isolamento drammatico, mentre il danno delle mode e delle stravaganze dura. Egli è pittore di domani. Nell’impero dei bruni, delle garanze, dei rossi, appena temperati da più soffici gradazioni di verde, egli eleva il suo canto libero e maestoso. E noi crediamo che un così nobile e forte richiamo alla pittura, non possa rimanere senza risposta.

(Presentazione nel catalogo della mostra, Galleria Zanini, Roma, 1966)

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